Letizia una splendida presenza in pedana varia carattere interpretazione.
Dall’esordio con le clavette da Junior a Biella 2011 un escalation di ottime prestazioni in serie A e nelle gare individuali.
Qual’è la gara più cara per te?
É difficile scegliere… ogni gara, che sia andata bene o male, mi ha lasciato qualcosa…
Sicuramente però non potrò mai dimenticare il Campionato Nazionale di Specialità di Bergamo del 2012: il mio primo titolo nazionale, da junior, al cerchio. Ricordo ancora bene l’agitazione prima di entrare in pedana, soprattutto prima della qualificazione, ma anche la voglia di eseguire quell’esercizio, che ormai faceva parte di me. Uscii soddisfatta di quello che ero riuscita a fare ma non immaginavo che quell’esecuzione mi avrebbe portato a salire sul gradino più alto del podio. Quando ci ripenso sento ancora tutte quelle sensazioni, vedo ancora la mia allenatrice, Donatella, che mi guarda negli occhi emozionata dopo l’uscita del punteggio e la gioia che mi ha investita poco dopo, insieme alla consapevolezza di avercela fatta.
La più esaltante?
Sicuramente l’esordio in Serie A, anche se non basta definire “esaltante” quella gara.. é stato un onore entrare in pedana, far parte di quella squadra.. un sogno che si realizzava, e, forse, il raggiungimento del mio più grande obiettivo.
Non gareggiavo solo per me, ma anche per le mie compagne, tutte con più esperienza, i miei punti di riferimento.. una bella responsabilità!
Però ho bellissimi ricordi anche del mio ultimo Campionato d’Insieme. Dopo mille ostacoli siamo riuscite ad arrivare al Nazionale e non solo, anche a raggiungere il podio.
La musica dell’esercizio, “Don’t stop me now” dei Queen, che dice “So don’t stop me now / Don’t stop me / ‘Cause I’m having a good time”, sembrava scritta per noi 6: Giulia, le due Martine, Valentina, Chiara ed io. Che squadra!
La sensazione peggiore?
Ho passato un anno molto difficile.. un anno di passaggio, stavo finendo il Liceo Scientifico, dovevo decidere che facoltà universitaria scegliere, mi sono ritrovata un po’ sola in palestra, le mie compagne di squadra da una vita avevano smesso o si erano spostate per periodi di studio all’estero. Le gare non andavano bene, non riuscivo a ritrovare me stessa in pedana, e allo stesso tempo si facevano avanti le ginnaste più giovani, piene di energia e sicuramente più futuribili. Volevo smettere, non mi sentivo più all’altezza. Sono riuscita a riprendermi ripercorrendo gli “scalini” dai quali ero caduta, uno ad uno, grazie alle parole della mia famiglia e delle mie allenatrici, Donatella e Francesca.
Una sensazione simile l’ho poi provata l’ultimo anno di attività… ormai la ginnastica non era più quella di una volta, gli obiettivi erano cambiati e di conseguenza l’atmosfera in palestra. Ho voluto fare le ultime gare in Serie B per me, per le mie compagne e per l’amore che ho sempre avuto per la ginnastica ritmica.
Tu sei stata una ginnasta molto preparata oltre che dal punto di vista dell allenamento della disciplina anche dal punto di vista motivazionale cognitivo ed affettivo. A chi devi questo?
A una moltitudine persone e situazioni. Fin da piccola sono cresciuta sapendo che niente viene da solo e non basta schioccare le dita per ottenere qualcosa. Ci vuole determinazione in tutto ciò che si fa. Quindi in primis all’educazione che mi ha dato la mia famiglia e che ho ritrovato poi nello spirito delle mie allenatrici, che sono diventate il mio punto di riferimento.
Importante è stata anche la scuola che ho frequentato, dove niente era scontato ed era comunque considerato importante l’impegno oltre al risultato. Ho avuto la fortuna di trovare professoresse e professori che mi hanno permesso di portare aventi l’attività senza pregiudicare il risultato scolastico.
Ti ricordi l’esordio come l’hai vissuto?
Considero come esordio la mia prima gara in agonistica, in Serie C, nel lontano 2008. Ero spaventatissima! Ricordo sempre con un sorriso tutte le situazioni che mi hanno portato su quella pedana. Ero entrata da poco in agonistica, ed ero un tipo molto timido e silenzioso, una volta una delle mie compagne di squadra addirittura mi chiese se ero muta. Ci allenavamo nel sotto palestra e salivamo a provare in pedana solo pochissime volte prima delle gare. Lì mi incantavo sempre a osservare le ragazze che si preparavano per la Serie A. Facevo solo l’esercizio con la fune, ero troppo alta rispetto alle altre mie compagne di squadra, ma per me era già una conquista. Mai avrei pensato che sarei arrivata a gareggiare al fianco di quelle ginnaste, che a me sembravano magiche, e che si allenavano per quella gara così importante.
Letizia la GR è stata una parte importante della tua crescita come persona?
Considero come esordio la mia prima gara in agonistica, in Serie C, nel lontano 2008. Ero spaventatissima! Ricordo sempre con un sorriso tutte le situazioni che mi hanno portato su quella pedana. Ero entrata da poco in agonistica, ed ero un tipo molto timido e silenzioso, una volta una delle mie compagne di squadra addirittura mi chiese se ero muta.
Ci allenavamo nel sotto palestra e salivamo a provare in pedana solo pochissime volte prima delle gare. Lì mi incantavo sempre a osservare le ragazze che si preparavano per la Serie A. Facevo solo l’esercizio con la fune, ero troppo alta rispetto alle altre mie compagne di squadra, ma per me era già una conquista. Mai avrei pensato che sarei arrivata a gareggiare al fianco di quelle ginnaste, che a me sembravano magiche, e che si allenavano per quella gara così importante.
Non posso nasconderlo… sì, lo è stato! Mi ha fatto vincere la timidezza, mi ha resa più sicura e determinata.
Tutti gli sport a livello agonistico richiedono sacrificio e dedizione, ma la ginnastica ritmica è uno sport impietoso: devi ricercare la perfezione, ti giochi tutto in un minuto e mezzo, davanti a una schiera di giudici che ti osservano e sono pronti ad analizzare ogni tuo singolo movimento. Sei tu, ginnasta, l’unico artefice del tuo destino in pedana e, come diceva Aristotele, in quel momento, la vittoria più dura è proprio quella contro se stessi.
E non funziona così anche nella vita?
Sicuramente ho anche imparato che non è un difetto essere diversi dalla massa, e riguardo a questo ricorderò sempre le parole del famoso professor Keating del film “L’attimo fuggente” nelle quali spesso mi sono ritrovata:
Ci teniamo tutti ad essere accettati, ma dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri, anche se ad altri sembrano strani e impopolari […] Come ha detto Frost: “Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso”.
Purtroppo questa dedizione ti fa rimanere un po’ fuori dal mondo, limita i rapporti sociali, ma anche questo è un momento di crescita e alla fine c’è tempo per tutto.
Come vivi adesso il tuo rapporto con la GR?
Rispondo partendo dal presupposto che la ginnastica ritmica resterà sempre una mia grande passione. Mi diverto ancora a guardare i video e mi piace tenermi aggiornata.
Ma d’altra parte credo che abbia perso molta della magia che la rendeva uno sport speciale e unico per me: é cambiata davvero tanto, e ogni volta spero che un prossimo codice la faccia tornare quella che mi faceva piangere quando guardavo l’esercizio al nastro del mondiale di Mie di Anna Bessonova, o mi faceva venire i brividi quando in pedana Margarita Mamun eseguiva le clavette.
Adesso sono poche le ginnaste che mi emozionano, e quelle poche difficilmente riescono raggiungere risultati di rilievo. Spesso si chiede a ginnaste piccolissime un sacrificio immenso: vengono travolte dalla competizione quando non ne sono ancora consapevoli, e questo le fa crescere ricercando una perfezione tecnica che difficilmente, anche quando crescono, con una maturità diversa, riescono a tramutare in emozione. Secondo me ha perso “l’anima”. Comunque non riesco a immaginare la mia vita senza quei 12 anni di ginnastica ritmica.